le Plùmbes

Queste sono le Plùmbes, fatte questa estate. Scarpette. Una ricoperta di piume, l’altra di piombo. A tenerle in mano quella che sbilancia e sfugge – a tutti!- è quella fatta di piume. Scappa di mano, scivola via. L’altra si adagia con tutto il suo peso nella mano e lì sta. Si accomoda con un certo a plomb.

Ero partita con un paio di scarpette di piuma. La leggerezza delle piume, il vibrare e tremare al minimo fiato avevano mosso un immaginario di piedi alati e fatati, veloci e mercuriali. Cucirle una per una con filo d’oro mi teneva nella pazienza, nella cura di ciò che è delicato e volatile. Ci vuole impegno per realizzare i sogni.

Finita la prima scarpetta mi son trovata satura e un po’ frustrata da tutto quel vagheggiare piumoso: avevo bisogno di peso. Mi ha chiamata il piombo. Brillava di una sua luce discreta, non alluminio, non argento. Piombo. Con ossidazioni preziose come il tempo che passa. L’avevo acquistato da un ferramenta, senza sapere bene cosa me ne sarei fatta: ero semplicemente affascinata dal suo modo di essere. Un rotolo non più grande che se fosse stato fatto con qualche foglio 50/70, ma a reggerlo la scoperta della pesantezza e a maneggiarlo lo stupore dell’ arrendevolezza. Così mi son messa a dialogare con questo nuovo medium. Come ci si comporta con il piombo? cosa si deve fare perchè la relazione sia buona? Certo se non ci sia attiva con un po’ di forza, lui rimane lì pesante, inerte. Freddo e umido: saturnino. Ci son volute forza e determinazione per tagliarlo, sagomarlo, bucarlo con punteruoli adatti, appiattirlo a martellate perchè i bordi di tagli e fori non facessero del male, cucirlo sulla scarpetta nera cinese che faceva da supporto.
Il filo, come mi è capitato nel cucire altri materiali impropri scorreva male, si sciupava, eppure era proprio lui. Mi sono innamorata del piombo come delle piume.


I pensieri selvatici al bordo della mente si facevano variegati. La pesantezza, l’andare a fondo. La posatezza, la stabilità, il radicamento. Nel dialogo anche le piume si arricchivano, lasciavano intravedere l’Ombra dello slancio senza confini, il lievitare della mente senza contatto con il reale. Una leggerezza che non è più gioco e nutrimento ma pericolo.
Così le scarpe son diventate una di piombo, una di piume. Le Plùmbes. Me le immagino esposte su una bilancia a due piatti, la sto cercando ai mercati delle pulci.

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5 risposte a le Plùmbes

  1. elena ha detto:

    Cecilia, mi attira la parola ARRENDEVOLEZZA! (chi l’avrebbe mai detto, di primo acchito?) e come non innamorarsi di entrambe, alla fine… grazie di questo spunto per meditare…Elena

  2. onelia ha detto:

    Stupende! mi vedo già volteggiare in aria col piede piumato e poi riconquistare la terra con l’altro, quello solido, quello del piombo. Certo la camminata “normale” è un pò zoppicante, però…
    Ciao, onelia

  3. semifonte ha detto:

    niente, non c’entra niente, è solo (solo?) pubblicità progresso:
    leggete e diffondete tutto quello che trovate di Antonio Pascale e cominciate da qui e non stufatevi prima del rutilante finale:
    http://www.ilpost.it/antoniopascale/2011/12/05/magia-e-depressione

  4. Betta ha detto:

    oooooohhhhhhhhhhh!!!!!!!!!!!! 🙂
    evviva le scarpette!!!

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