Peso e leggerezza, dunque. Uno snodo di fondo nella percezione del corpo, del sè corporeo, cognizione incorporata del divenire della psiche tra metafora e pensiero. L’esperienza clinica che ho come arte terapeuta sul tema è ampia. C’è stato, prima di mettermi a scrivere, un affollarsi di associazioni e possibili direzioni nella mia mente, svolazzavano qua e là: è un tema variegato, con molte declinazioni possibili.
Poi, alcune immagini hanno creato traccia e radicamento. Oggetti artistici creati da persone con cui lavoro, uno soprattutto, un albero realizzato in tela di iuta, di grandi dimensioni. La prima forma centrale, il nucleo del lavoro -tronco, pochi rami, base allargata- cucito con spago è stata riempita con materiali diversi: sassi alla base, kapok il tronco e i rami. Poi a mano a mano altre grandi radici sono state aggiunte, sempre stabilizzate da sassi. Mentre lavorava, la persona immersa nella messa in forma, ha trovato un contatto con percezioni di sè sfaccettate: da principio quelle riferite al peso come necessità, come fame di radicamento, resa difficile dalla paura della pesantezza vissuta come immobilità depressiva, ma anche come fatica eccessiva nel sostenere il peso della responsabilità che l’età adulta comporta. Eccessi di fatica spesso -e sicuramente nel caso specifico- oggettivi ma comunque inalienabili.
Poi sono arrivate associazioni sulla leggerezza vissuta come potersi liberare della sensazione di ingabbiamento legata alle difficoltà oggettive che la sua vita comportava, ma anche poter lasciar andare il peso di un passato difficile. Tutto questo portava però con sè confusione su cosa fosse possibile permettersi e quando, su cosa potesse realmente essere leggerezza e per contro la scoperta di una leggerezza utilizzata come fuga difensiva verso un mondo interno immaginifico, piuttosto che verso sogni di cui non veniva però vagliata la realizzabilità e verso momenti di idealizzazione di sè e dell’altro.
Un lavoro lungo e prezioso, durato molte sedute alla fine del quale l’albero ha aperto la porta ad un immaginario fiabesco, è stato personificato, è diventato un interlocutore importante, presenza verticale che sorgeva dall’espansione orizzontale delle radici, solida e accogliente, pesante e radicata quanto flessibile e leggera nelle parti aeree.
Nella storia di questo come di altri pazienti sembrano presentarsi come costante figure genitoriali e una storia con caratteristiche comuni: una madre poco presente quasi sempre per depressione e poco capace di dar forma tanto agli investimenti libidici quanto alle spinte aggressive e un padre spesso intuitivo e geniale ma dispersivo, e poco capace di offrire sostegno e protezione come pure di offrire un valido modello rispetto alla realizzazione di sè e delle proprie potenzialità nel mondo esterno.
Una madre peso inerte e assenza, un padre volo a cui segue la caduta distruttiva.
In queste condizioni il radicamento è confuso con il peso mortifero della depressione, la leggerezza del sogno che spinge in avanti confusa con la dispersione di sè, temuta e osteggiata per certezza della caduta che seguirà. Oppure e spesso nello stesso momento, la stabilità è sovrapposta alla mancanza di cambiamento, sembrano coincidere, e la leggerezza di quei sogni che ci permettono di costruire il futuro viene confusa con la fantasticheria.
Spesso, dietro a tutto questo, storie transgenerazionali complesse, traumatiche e dolorose.
Quali sono le funzioni dell’arte terapia in questi casi? Nella parte iniziale del processo è facilitata la possibilità di percepire i propri confini corporei attraverso il sensorio, come quella di dar voce espressiva alla memoria implicita, di contattare aspetti di cognizione incorporata attraverso medium adeguati che sono espressione di contenuti non pensabili, ancor prima che verbalizzabili. L’impegno nella messa in forma, nel trovare forma adeguata a quei contenuti specifici dà vita alla costruzione di un contenitore nuovo e più funzionale a diversi livelli: la dimensione sensoriale viene mantenuta e diventa sfondo mentre la possibilità della focalizzazione inizia a contenere e selezionare esperienze prima frammentate e volatili, mai messe in forma o messe in forma in modo inadeguato. Il dialogo tra medium diversi espressioni di esperienze prima conflittuali porta a una trasformazione che interessa l’individuo dal corporeo allo psichico favorendo la creazione di nuove metafore e quella che per me è una rifondazione a livello semiotico. Peso e leggerezza finiranno per dialogare, differenziati e ripuliti da attribuzioni automatiche. Sarà possibile sperimentare la leggerezza di un corpo ancorato e reso stabile e forte dal suo stesso peso, di un sogno realizzabile perchè radicato nel reale.
L’immaginario che si attiva poi, consente di rintracciare collegamenti automatici e di crearne di nuovi.
Consente, anche, un processo di narrazione che ha rilevanza non in quanto reale, ma come veicolo di una continuità spesso inesistente, come pure di appropriarsi di una propria storia quando questa è stata colonizzata da quella dei genitori. Consente di costruire aspetti genitoriali all’interno di sè più favorevoli all’evoluzione di un sè creativo e di un io solido.
Quando questo avviene il passato – un passato che non può essere riparato, perchè solo il futuro può esserlo- viene dimenticato può divenire sfondo e radice.
Ora sto pensando a due artisti che amo, molto diversi tra loro. Louise Bourgeois che ha fatto dell’infanzia la spinta del lavoro di una vita e Chagall, i suoi quadri abitati da personaggi che volano su sfondi sempre però ben radicati e tangibili, Chagall che spazia nel mondo reale e in quello immaginario senza mai dimenticare le origini, che “si tuffa nelle sue riflessioni e vola al di sopra del mondo”, come in ” Promenade”.