Kotodama, parola-spirito, la si trova nella sua forma più antica nel Man’Yoshu o Raccolta delle diecimila foglie, antologia di poesie giapponesi completata nell’ottavo secolo.
Il termine è nuovo, per me, ma non ciò che è destinato a trasmettere.
Cito qualche frase dal libro di Pierantonio Zanotti che recuperate cliccando qui.
Indica il potere performativo (beneaugurante, maledicente, magico, incantatorio, etc.) della parola. (…) Gli antichi giapponesi erano convinti che la parola fosse abitata da forze in grado di agire sul mondo materiale e che per questo andasse maneggiata con tutte le precauzioni rituali del caso.
I governanti e i poeti del paese benauguravano le loro terre, guardandole dall’alto, nella loro estensione. O malauguravano quelle dei nemici.
Alcuni dei testi poetici che contengono Kotodama sono sublimi e per la sensibilità occidentale prendono subito odore e sapore di raffinate metafore, ma sono semmai figurativi.
Comunque in questo post non vi parlo del mio amore per la poesia giapponese (anche se…), mi fermo sul kotodama (le sue trasformazioni nella prossima parte), su ciò che mi ha fatto pensare, ricordare…
Nel leggere, il primo pensiero randagio è stato su come si potesse scrivere così, quale e quanta forza si potesse dare a una parola, dove poteva nascere, da dove partire, da quale parte del corpo, del cuore.
I randagi a volte si presentano soli, a volte accoppiati, in gruppo…Mi ha attraversato la mente la poetica fatica di dar suono e nome all’impensabile, all’indicibile, ma subito la possibilità se ne è andata: era un pensiero di aspetto troppo elegante, un levriero forse, anziché un randagio e andava in un’altra direzione, dandosi un po’ di arie.
Doveva trattarsi di qualcosa di più immediato.
Poi, un’eco lontana si è svegliata dentro di me. Ho all’improvviso saputo che da bambina, da bambina molto piccola conoscevo esattamente quel potere. La prima lingua dell’infante è magica come la poesia arcaica; veramente è abitata dalla potenza dell’emozione, del primo sentimento. E ugualmente il bambino ama o teme la parola dell’altro; è il momento in cui l’oggetto, il sentimento che suscita e la parola sono tutt’uno. Si può uccidere con una parola, o far rinascere, si può produrre sorrisi nell’altro, farlo avvicinare. Si può essere distrutti dalla parola dell’altro e dal suo suono. Credo che l’epoca delle prime parole porti con sé una lunga eco della creatività primaria. Il mondo magico non scompare all’improvviso, ce lo trasciniamo dietro per molto tempo, lo vediamo attivo e affascinante nei giochi infantili dove il confronto con la realtà è sospeso e spesso formule rituali vengono costruite, recitate, ripetute, richieste più volte se son quelle della fiabe raccontate. Lo intravediamo nell’arte, quando l’artista si lascia andare a raggiungerlo.
Ma possiamo dire che la storia inizia prima ancora. Nelle favole, le fate invitate al battesimo del regal bambino, o bambina, portano in dono parole benauguranti. Quelle dimenticate, al contrario si presentano con parole che recano danno. Possiamo pensare nel primo caso a un femminile matrilineare favorevole, elaborato. Nel secondo a qualcosa che, rimosso o non pensabile, passi per via transgenerazionale, si depositi come un cattivo augurio che continua ad avverarsi. Possiamo pensare agli archetipi negativi, a Lilith che divora i primogeniti.

A. Kiefer-Lilith
Ma accade ancora concretamente. Ci si reca in visita ai neonati con doni e biglietti benaugurali, li si pensa con un gran lavorio, cercando al parola giusta con un gran dispendio di energia,affetti, affetto. E ancora più concreto, lo so, l’ho visto: complimenti fatti ai neonati con la bocca stirata nel sorriso esagerato della formazione reattiva, fanno indietreggiare le madri che svelte coprono l’infante per intero, dicendo che ha freddo, sonno, lo portano a casa…
Se state pensando che divago, avete ragione: mi sto permettendo di razzolare in diretta con la mente. Mi capita ogni volta che una parola fascinosa mi lega a sé con il suo potere incantatorio. Kotodama.
sulla fiaba della Bella Addormentata: da piccola mi aveva molto colpito una versione in cui i parenti, che avevano portato regali materiali alla bambina, guardavano come a poverette le fate che le regalavano “solo” parole beneauguranti… sapevo fin da allora il segreto delle fate, ed ero contenta (come lo sono ora) che i parenti rimanessero nella loro beata ignoranza…
Massì, pensa i danni che potrebbero fare!. già così… >—-Messaggio originale—-