Trasparenze e perturbante. Prima parte.

Rileggo i post precedenti e trovo il mio  scrivere  un po’ a strappi. Andamenti non lineari che vanno dalla trasparenza, da ciò che è o può sembrare limpido e chiaro, al perturbante.

Un primo pensiero…
facile, troppo facile
…va alla attivazione di una polarità scura da parte di quella chiara. Da qui è poi facile passare all’Ombra di Jung.

Il secondo va all’annidarsi del perturbante nella trasparenza, ben nascosto come sa e deve, per poi manifestarsi all’improvviso.
Come la presenza de L’Ospite Sgradito nella compassata, leggibile e quindi, anche se in senso limitato, trasparente famiglia inglese?
Come il trovarsi ad abitare, per il simpatico e trasparente “coso”, con l’oscura e compassata famiglia?
Il piccolo montaggio  del racconto di Gorey rende in chiave umoristica cosa accade quando nella domesticità si palesa il nascosto, quel qualcosa di familiare che si nasconde in casa  (Freud, 1919, Das Unhemlich) e che presentandosi alla porta produce turbamenti.

Nella parte finale di Das Unheimliche, Freud fa coincidere l’angoscia del perturbante con quella della morte e ne trova l’origine nel continente nero della sessualità femminile: il corpo della madre, l’organo genitale.

Heimlich è il familiare e conosciuto. Ma anche ciò che, conosciuto, è celato in casa. Heimat è la Patria. La radice  è la medesima di Heimlich. Il corpo della madre è la Patria che ci fa struggere di tenerezza, a cui desideriamo tornare senza poterlo fare? a cui il divieto ha dato segno negativo, che il rimosso ha accomodato fuori porta e portata?

L’epoca in cui Freud scrive il saggio è quella della grande guerra. Le nostre nonne e la loro vita, la loro eleganza e i loro ricami. La loro gioia e sofferenza. I loro corpi coperti e nascosti, luoghi sacri del materno e fonti perturbanti di un desiderio che non può essere soddisfatto. Luoghi dell’accoglienza e, per Freud e attraverso di lui dei suoi contemporanei, dell’angoscia di morte e castrazione.

Questo è il perturbante come l’ha pensato il maschile e, per di più, il maschile di una certa epoca.

La donna è il conosciuto celato. L’estraneo familiare che gira per casa. 

Mentre scrivo mi sto trovando a giocare con un doppio senso. Il femminile/materno come corpo che fa senso, nell’accezione del perturbante e in quella di portatore di significato, Luogo che contiene le tracce della storia originale che diviene inaccessibile proprio quando la madre offre le parole per significarla, Lingua Madre, portatrice di ordine simbolico. Di lì in poi diviene Patria a cui non si può tornare, rispetto alla quale si vive in esilio e che viene reincontrata come conosciuto spaesante, quando qualcosa rimanda alla profondità generatrice del suo corpo.

PATRIA: anche dalla radice che accomuna Heimlich e Heimat si può sentire che tutto il pensiero sul perturbante è maschile.

Ormai son lanciata su questa pista: mi è venuto in mente un libro curato da una amica, Uta Treder, dal titolo La Perturbante. Das unheimliche nella scrittura femminile. Uta Treder con un gruppo di colleghe, filosofe, letterate si è interrogata su come le donne vivano il perturbante, e l’ha fatto andando a rileggere come compare nelle opere di scrittrici di lingua madre diversa. Le donne che per l’uomo sono portatrici del perturbante lo avvicinano secondo la categoria maschili, o accade qualcosa di diverso?

Il femminile che emerge risulta vicino all’unheimliche, non lo fugge, la diversità che per gli altri è perturbante è  accolta, giocata con modi e attraverso modelli diversi.

Qui il link dell’introduzione

Un femminile capace di stare sulla soglia tra ciò che è reale e ciò che fa parte del sogno, di fluire, che con il perturbante, attraverso la scrittura sembra giocare, quasi in confidenza.

 

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