Ciao a tutti! La fine dell’anno lavorativo mi ha lasciata con poco tempo per scrivere, pubblicare, ma ora rimedio. Inizio qui a scrivere un articolo sul tema del contenitore composto di tre parti.
La prima, che leggete di seguito racconta l’esperienza che mi ha spinta a scrivere su questo argomento e riassume i modelli psicoanalitici che utilizzo per pensare.
La seconda parte sarà dedicata a come nella relazione arte terapeutica i materiali, il processo e l’oggetto artistico svolgono funzioni diverse nella costruzione del contenitore e del rapporto contenitore/contenuto.
Nella terza mi piacerebbe trattare del tempo, delle diverse qualità del tempo che il creare mette a disposizione per favorire la nascita e l’evoluzione del contenitore.
Parte prima
Quando parlo in pubblico o quando conduco un seminario ho bisogno di muovermi mentre parlo; il mio corpo sa qualcosa che collega ciò che accade in quel momento tra me e le persone che ascoltano, a ciò che che comunque chiede di essere detto, o va detto in quell’occasione. Le parole, le espressioni, i modi sono vivi, più vivi se il movimento del pensiero è sintonizzato con quello del corpo, se accetto che c’è un sapere profondo in parte radicato, in parte in pieno fluire che prende forma nel momento. Il corpo, se mi fido, conosce meglio e prima di me, conosce bottom-up cosa va detto, quando, in che modo…
Il corpo mi informa della qualità dell’attenzione dell’uditorio e lo lega a quella sorta di griglia interna da cui salgono parole e pensieri, collegamenti…
Della qualità dell’attenzione di chi? Di tutti coloro che ascoltano? No, eppure sì: la qualità è strana; come nell’aver davanti una persona colgo, sento risuonare tanti piccoli segnali che arrivano da punti diversi del corpo dell’altro al mio, così nell’avere davanti un insieme di persone colgo segnali da un lato all’altro dell’ambiente: un corpo collettivo delle cui qualità ciascuno trasmette qualche cosa.
E a chi mi osserva/ascolta cosa succede? Per chi mi osserva la mia mimica precede e favorisce il riconoscimento di quello che avviene? Le persone che ho davanti, ciascuna nella sua unicità, sono rese attente da questo muoversi? Il mio muovere racconta la mia attenzione alla relazione tra me e loro?
Racconta, prima di me, che sto trasmettendo qualcosa di vivo e quando?
Prepara al momento di attenzione speciale, a quello di divertimento e possibilità della tensione di ascolto di allentarsi per preparare il momento successivo? Segnala prima anche il momento di smarrimento, di fragilità di tenuta? Di momentanea vacuità del pensiero?
L’attenzione in attesa di qualcosa è così che nasce? C’è così un fluire continuo di contenuti tra contenitori che stanno tra loro in reciprocità a livelli diversi? Mentre scrivo mi sto ritrovando a pensare alla cognizione incorporata, che lega le operazioni mentali al corpo, che le vede modellate dal corpo, dalle qualità di esperienza percettiva e motoria che sono il prodotto del suo movimento nell’ambiente e delle sue interazioni con l’ambiente E alla semantica incorporata, ai concetti linguistici costruiti dal basso verso l’alto, bottom up (Iacoboni, 2008).
Quando sono tra me e me, invece creo per conoscermi, scrivo per pensare, per sapere cosa sta aspettando di essere pensato. Anche in questo caso c’è una reciprocità tra contenuto e contenitore. Fluida. Un continuo aggiustamento in cui il materiale che è stato medium (che sia artistico o scrittura) e contenitore dell’esperienza, del processo, diviene a un certo punto contenuto del e dal pensiero che è nato nel lavorarlo.
Dopo l’ultimo seminario come docente ( se qualcuno del grande e generoso gruppo sta leggendo: grazie per l’esperienza che abbiamo vissuto insieme) mi sono ritrovata a pensare come sempre a quanto si possa e debba migliorare la comunicazione, a dove è mancata da parte mia l’attenzione necessaria per rendere fluidi i passaggi più delicati, dove ha funzionato, ma soprattutto al poco tempo a disposizione per avvicinare ed esplorare proprio il contenitore.
Contenitore è un termine condiviso in diversi modelli psicoanalitici; indica non solo un qualche spazio interpersonale, intersoggettivo o intrapsichico ( e comunque dello psiche soma) che contiene qualcosa, ma anche le sue qualità e funzioni. Un luogo che viene a nascere da queste qualità e si trasforma attraverso una diversificazione e un arricchimento di qualità…
In Arte Terapia acquista sfumature particolari. Perché in Arte terapia il corpo (questo contenitore della mente, dell’anima, delle memorie implicite) è presenza privilegiata.
Perché contenitore è prima di tutto un corpo in cui è possibile abitare, che definisca uno spazio interno che ha caratteristiche relative alla continuità, alla sicurezza, alla possibilità di accettare contenuti ancora grezzi (sensoriali e emotivi) che diventeranno pensieri…
Contenitore è la stanza che accoglie paziente, terapeuta, materiali artistici, supporti, oggetti creati e ancora da creare ma presenti come possibilità. Tra paziente e terapeuta c’è un reciprocare di contenitore e contenuti, ferma restando la responsabilità del terapeuta nella relazione asimmetrica. Contenitore per terapeuta, paziente e opere è il campo estetico con tutte le sue possibilità.
Ogni cosa che scrivo mi sembra riduttiva e banale, perché pensando al contenitore, al contenere, ai contenuti c’è una immensità di significati su cui riflettere, da esplorare nuovamente. Ho bisogno di contenere questa immensità, di contenerla nel senso del limite e dell’adattamento al tempo umano e lineare.
Penso così di scrivere di seguito una traccia brevissima dei modelli di pensiero che più mi trovo a utilizzare quando esploro il contenitore per poi proseguire con due altri aspetti collegandoli in modo più preciso all’arte terapia: la qualità del tempo e l’importanza dei materiali nel costruire non solo un contenitore, ma una buona relazione tra contenitore e contenuto.
Brevemente, i modelli
I due modelli di pensiero che utilizzo di più quando penso al contenere, al contenitore, al contenuto sono quello di Winnicott, l’holding winnicottiano e quello di Bion, la relazione contenuto/contenitore e la sua importanza nell’apparato per pensare i pensieri.
Nell’holding il bambino è con-tenuto tra le braccia della madre in un insieme di sicurezza, forza e delicatezza, tenerezza, stretto al seno e ancora più stretto al seno (è espressione di qualcosa di concreto, questo stringere al seno, ma anche dei diversi modi in cui la madre adatta se stessa ai bisogni del bambino) se è in uno stato di disconforto. Viene protetto da ciò che potrebbe interrompere/rompere la linea di continuità dell’esistenza che si va costruendo.
Attenzione: è un abbraccio( concreto e anche inteso come cura, accudimento, qualità di relazione) dolce ma consistente che si diversifica nelle sue qualità rispondendo ai bisogni e alle caratteristiche irripetibili del bambino. Questo diventerà im portante nella prossima puntata, quando passeremo ai materiali.
Il rapporto tra contenitore e contenuto è per Bion qualcosa di diverso, il suo pensiero è rivolto alla mente e introduce l’idea che ogni mente all’inizio della vita abbia bisogno di un’altra mente per potersi sviluppare in un gioco continuo di proiezioni e introiezioni. Il bambino evacua angosce e elementi sensoriali primitivi nella mente della madre ( che ne diventa il contenitore) che le bonifica e le restituisce trasformate in elementi figurabili (elementi alfa, protovisivi, protoacustici etc. : semi di pensiero possibile) insieme al modello di funzione alfa con cui sono stati trattati. A quel punto è il bambino a diventare il contenitore di qualche cosa che non è solo il nuovo contenuto, ma anche il modello con cui l’esperienza è stata accolta trasformata. La funzione alfa viene introiettata insieme ai contenuti trasformati.
Quando la madre è disponibile a questo lavoro si crea un rapporto tra contenitore e contenuto di reciprocità e la crescita avviene tanto nel contenitore quanto nel contenuto.
Penso che la madre trasmetta la trasformabilità dell’esperienza attraverso le capacità di cura descritte da Winnicott, cioè che questa capacità della madre “bioniana” di far propria la verità emotiva del bambino sia parte integrante della madre sufficientemente buona di Winnicott: è grazie a questa disponibilità emotiva e mentale che la madre sa come accudire il bambino attraverso holding, handling e object presenting.
Penso anche che non solo l’holding, ma anche l’handling e l’object presenting siano parte della costruzione del contenitore; mi immagino queste funzioni lavorare in un interscambio continuo.
Attraverso l’handling il bambino può compiere il lavoro della personalizzazione, dell’esistere contenuto in una pelle, in un corpo e iniziare a godere della reciprocità tra contenitore e contenuto; attraverso l’object presenting, la madre offre nuovi contenuti al momento opportuno, aprendo il bambino alla creatività e all’apprendere dall’esperienza.
Senso di continuità dell’esistenza, capacità crescente della mente che si sviluppa all’interno del corpo, psiche e corpo in reciprocità, godere della continuità di relazione tra contenitore e conentuto e tutto questo in stato di sicurezza, sono dunque co –creati attraverso una relazione che viene veicolata dal corpo, dalle sue qualità di presenza e movimento. La madre non solo protegge l’infante da eccessi di stimoli interni ed esterni, non solo trasforma elementi disturbanti ma lo fa attraverso il modo con cui lo culla, maneggia, tocca, tiene al seno con qualità di ritmo, forza, contatto e durata che sono tipicamente sue in risposta a quelle uniche del suo bambino. È attraverso la sensorialità che la continuità viene costruita e mantenuta, le angosce bonificate e restituite, l’insediarsi della psiche nel corpo avviene. È attraverso la sensorialità, le sue qualità di ritmo, intensità, durata, forma che il senso dell’esistere nel tempo emerge (Stern, 1987) e viene mantenuto se la relazione estetica tra madre e bambino (Bollas, 1989) funziona.
E tutto questo come si manifesta in Arte Terapia? il seguito nelle prossime puntate.
Mi coglie sempre una certa depressione leggendo di una relazione perfetta, ideale madre-figlio che io non ho avuto e che, temo, non ho dato. Uno scoramento, un senso di troppo tardi, di navi salpate e treni partiti , di occasioni mancate, di wrong turns . Servono coraggio ed energia per superare questo stato d’animo paralizzante e credere che sia ancora possibile quantomeno mettere una pezza . O tante pezze. Xxxxxx
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grazie Cecilia: credo che, se mi permetti, ti citerò prossimamente nei miei lavori con questo tuo articolo! dei tuoi riferimenti teorici mi risuona dentro la parola ABBRACCIO, mentre a Bion associo la funzione riflessiva di Fonagy, dove la mente del genitore è contenitore che, pensando il figlio, gli permette di esistere e pensare a sua volta.
A proposito del corpo che muove perché SA: faccio sempre una gran fatica a portare la mia esperienza in conferenze o simili, ma l’ultima volta il pubblico mi ha restituito di aver colto la mia passione e credo di averla comunicata più che altro col corpo…
Spero di rivederti presto! un abbraccio, Elena
Grazie e ciao a te, Elena! rivedersi, incontrarsi… speriamo presto