Contenitore e contenuto. Parte seconda

Ciao a tutti! terminate le vacanze, continuo le perlustrazioni dell’ultimo articolo, Contenitore e contenuto -Parte prima, riprendendo il filo, approfondendo e esplorando le connessioni con l’Arte Terapia.

Reciprocità tra contenitore e contenuto

Quando ci è possibile metabolizzare un contenuto, questo si trasforma, va a far parte del contenitore, lo costruisce. Sto utilizzando il modello bioniano. Cosa va a far parte del contenitore? L’aumentata capacità di fronteggiare, tollerare, pensare. Il contenitore diviene più capiente, e acquisisce qualità diverse, diviene più elastico e capace, ma anche sensibile e pronto nel rispondere in modo appropriato a stimoli emotivi diversi (come accade con gli elementi nutritivi del cibo che assolvono funzioni diverse).                                                      

Dal punto di vista della relazione primaria il bambino proietta le sue emozioni grezze nella madre che assorbe,(…) stabilisce priorità, disintossica, trasduce gli elementi β dall’infinito alla finitezza. Riflette sulle comunicazioni emotive proiettate, e permette loro di rimanare dentro di lei mentre consente a tali emozioni (…) di entrare in risonanza con le proprie emozioni originali e autoctone e il proprio repertorio di esperienze consce e inconsce  (memoria), risponde al bambino in modo idoneo  e lo informa rispetto a ciò che prova (Grotstein, 2010) o trattiene ciò che ha assorbito per una restituzione differita.
Durante tutto questo processo il bambino prende in sè i nuovi contenuti che la madre restituisce, si tranquillizza, gli elementi β (cruda realtà e verità del momento) divengono elementi α, più vicini all’immaginabilità, inizia a funzionare da contenitore; la trasformazione è relativa tanto alla capacità di contenere quanto all’accogliere contenuti ormai diversi.

Lo stesso avviene in terapia con i pazienti: come il bambino,  il paziente va comunicando con il proprio inconscio utilizzando  il terapeuta/madre come canale, come medium. Quando il bambino/il paziente vive un’esperieza favorevole di scambio reciproco tra contenitore e contenuto introietta le funzioni del contenitore e è in grado successivamente di proiettare i suoi disagi nel suo contenitore interno. C’è un flusso continuo tra paziente e terapeuta, un dimensione bipersonale: l’intersoggettività.

Come ho scritto nel primo articolo, il  lavoro della madre viene offerto attraverso le capacità di cura(Winnicott) e caratterizzato dall’estetica personale della madre ( Bollas) con cui il bambino entra in negoziazione. Anchelo scambio tra paziente e terapeuta funziona similmente.

Come?

Leggendo  L’ombra dell’oggetto (Bollas)  ho sempre compreso intuitivamente cosa intendesse con esperienza estetica primaria, madre come processo estetico, madre come oggetto estetico, madre come oggetto trasformativo di stati del sé.

Ho anche sentito il bisogno di poter curiosare in queste definizioni e trovare pensieri di altri autori, come anche miei per renderli utilizzabili nel campo estetico in arte terapia. L’arte terapia si muove nel campo del preverbale, è dunque ancora più vicina alla relazione primaria. Sono partita dalla percezione che avevo dei pazienti, del processo artistico o sulla scelta e utilizzo dei materiali: mi sono focalizzata sul processo, prima che sull’oggetto artistico perchè il processo precede l’oggetto, può occupare la maggior parte del tempo in seduta e perchè se da una parte è effettivamente qualcosa che ci cattura, dall’altra difficilmente riusciamo a rimanere presenti e consapevoli di ciò che accade…

può diventare un’attenzione simile a quella di un sogno (reverie), siamo profondamente attenti, ma accade spesso di non saper trovare parola per ciò che accade…Oppure ci assettiamo in uno stato completamente diverso in cui un’attenzione puramente mentale satura ogni gesto dell’Altro e non c’è coscienza corporea. Come possiamo essere presenti nel corpo, senza saturare con pensieri precostituiti (un po’ da manuale), ma contemporaneamente mantendendo un testimone interno che osservi la scena?                                                                                                                                          

Certo l’esperienza estetica è ineffabile, ma quali sono gli elementi che possono servirci per rederla più consapevole in una relazione che si basa sull’empatia corporea ed estetica, su quella simulazione incarnata di cui la Natura ci ha dotati?  L’empatia non può dirsi tale se non arriva alla riflessione.

Nella mia ormai lunga esplorazione sono partita da una serie di domande: cosa avverto nelle fasi di processo e come? cosa ha a che vedere questo con una relazione estetica? cosa ancora con una relazione estetica primaria? E…

…di cosa è fatta l’estetica materna?

Se l’angoscia di un infante che sta sperimentando qualcosa di sconosciuto e impensabile (fame, sonno, dolore, agitazione) incontra una madre aperta, tranquilla…                       morbida, plasmabile all’esperienza o se occorre solida, o … limpida? percepibile come un filtro, una garza, assorbente come una spugna   e molto altro ancora                              

e responsiva sperimenterà che ciò che gli stava accadendo non era nulla di pericoloso, che è possibile rimanere in contatto con ciò che succede, al sicuro nel proprio corpo.  Si compie così una trasformazione estetica positiva su ciò che è non è ancora significabile. La madre funge da processo e oggetto trasformativo ( Bollas).

Nell’esperienza trasformativa il bambino incontra  una risposta legata al tono muscolare, alla forza, al tempo, ai ritmi, all’intensità con cui quella madre risponde che si esprimono (che sono espressione della capacità emotiva/mentale) e vengono recepiti a livello sensoriale (suoni, vocalizzazioni, sguardo, tatto, odore, sapore) in termini dinamici, di movimento; anche lo sguardo della madre ha caratteristiche che esprimono stati emotivi e sensoriali; può  diventare morbido, limpido, tagliente; ha dei ritmi nell’incontrare e separarsi da quello del bambino a cui rimanda oppure no, la meraviglia del suo esistere

Nella prima parte della vita il bambino percepisce in modo amodale; ciò che percepisce sembra essere un insieme di proprietà emergenti in termini di forza, tempo, spazio, intensità, direzionalità: un gesto può avere la stessa durata e intensità di un suono e così un sorriso, uno sguardo(D. Stern, Le Forme Vitali, 2011). Queste similarità o divergenze si compongono poi in isole di coerenza il cui emergere costituisce la prima coscienza (assolutamente corporea, non si tratta di consapevolezza) del Sé infantile: il senso di sé emergente  (D.Stern, Il mondo Interpersonale del bambino, 1987) il processo del venire ad essere (Winnicott). Ciò che viene conosciuto in questo primo momento riguarda qualità  particolari, che Stern  denomina affetti o forme vitali  sono qualità sfuggenti che  si manifestano e percepiamo in termini dinamici, cinetici, con un inizio, un apice, un decrescere.qualcosa come: fluttuare, svanire, esplodere, gonfiarsi, affrettato, rilassato, lieve, oscillante…

Ciò che viene conosciuto in questo momento, in termini estetici sotto la forma di affetti vitali è la culla dell’arte, solo la poesia, l’arte, la musica e la danza hanno un linguaggio che può avvicinarsi a questo “magazzino”. Magazzino che si rinnova e cresce con continuità. il senso di sè emergente non scompare linearmente con la crescita, rimane attivo insieme ai successivi (senso di sè nucleare, soggettivo, verbale) per la vita.        

A questa modalità, questo senso e stato dobbiamo il modo di percepire nell’Altro qualcosa di particolare che lo rende unico e riconoscibile fin da lontano: un modo di muoversi che solo una certa persona ha, uno stile. .

Ogni madre ha uno stile che si caratterizza dinamicamente in un modo suo proprio e il bambino incontra questo modo, questa estetica materna e lo mette in relazione, lo negozia con il suo unico temperamento cinestetico e le sue altre dotazioni innate.

Se la madre ( per storia, struttura, qualità della realtà del momento) non è disponibile a questo lavoro…                                                                                                                           

non può entrare in ascolto empatico, contenere, filtrare e restituire elementi bonificati e risponde con una cura per esempio spiccia e dura, ruvida, aspra, appuntita, fredda, scivolosa, affrettata, evanescente, con un corpo irrigidito dall’ansia, dall’angoscia, dalla rabbia, se svanisce (pur rimanendo presente) quando il bambino ha bisogno di lei 

…   il non conosciuto subisce una trasformazione estetica negativa (trauma relazionale). Il bambino non solo rimane con una sensazione sconosciuta ma cade nell’angoscia di un terrore senza nome ( sì: il vissuto emotivo diventa un terrore senza nome, senza contenitore né contenuto  solo a seguito della mancata o cattiva risposta della madre). L’estetica negativa può essere una non-cosa (diversa dal nulla, più la presentificazione di una assenza); può essere un vissuto connotato dalle qualità sensoriali negative. E accade anche che il bambino venga utilizzato dalla madre come contenitore delle proprie angosce. Anche in questo caso la relazione è corporea.

Bion, Stern, Bollas esplorano la relazione analitica: due persone in una stanza. Bion, nello specifico, traccia la cornice di una contesto, di un campo intersoggettivo bipersonale: la reciprocità di flussi tra P e T che vengono così a creare qualcosa di nuovo, un terzo che è cocreato, nuovo, mai esistuto prima per nessuno dei due.

In Arte Terapia esiste non solo un terzo cocreato che è emotivo, immaginale, sognato etc, ma esiste un terzo reale, l’oggetto artistico  e con lui i materiali e gli strumenti utili a crearlo, utili al processo. Come ho già scritto altrove (Macagno e Bolech, Trent’anni di Arte Terapia e Danza Movimento Terapia, Ananke, 2012;in questo blog in saggi lunghi: Il sasso in bocca)   l’incontro è tra un paziente (corpo, mente, psiche….anima? spirito?) con la propria estetica, un terapeuta ( corpo, mente, psiche…anima? spirito?) con la propria estetica che è resa ancor più manifesta dalla presenza nella stanza della terapia dalla scelta dei materiali, degli strumenti…L’incontro è tra un terapeuta che accoglie il paziente attraverso l’empatia corporea/estetica (cogliendone le caratteristiche estetiche) e un paziente che ha la stessa possibiltà e inoltre rivolge (può rivolgere) la sua attenzione ai materiali, al modo in cui sono disposti… Il campo estetico si apre.

Un paziente la cui madre svaniva, scivolava via corpo e mente dalla relazione primaria, può svanire all’improvviso in seduta, può scegliere materiali evanescenti lottando per imparare a gestirli, può sceglierli per svanire sfinito mentre li utilizza…ciascuna di queste possibilitò incontra l’estetica personale del terapeuta in un modo diverso e particolare: l’arte terapeuta in questione, come se la cava con l’evanescenza?

Nel prossimo articolo: l’estetica personale del terapeuta e il dialogo con i materiali…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Informazioni su ceciliamacagno

Art therapist, artist,
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