Creaturalità

Nei giorni passati ho trovato un commento a un articolo di ottobre: un commento interessante, sottile. Ho risposto. Ha preso vita un dibattito.
Un semino di dibattito forse è più appropriato
Ho pensato di pubblicare lo scambio: per portarlo avanti,  vedere se qualcuna o qualcuno ha piacere di partecipare.

Per  orientarvi: il post ha titolo Lo scheletro dell’anima e l’avevo scritto per raccontarvi di un libro, Il dizionario dei Kazhari  e di quanto mi fosse piaciuto.
Avevo scelto di citare un brano che riporto di seguito, perchè attraversa un argomento per me di fondamentale importanza: il rapporto tra madre e figlia, il vissuto di non vivere la propria storia ma quella dell’altra.

Preghiera della Principessa Ateh

Ho imparato a memoria la vita di mia madre e recito quella vita, come se fosse un ruolo, tutte le mattine per un’ora, davanti agli specchi. Giorno dopo giorno, per anni. Lo faccio indossando i vestiti di mia madre, con il suo ventaglio e pettinata come lei, con i capelli intrecciati come un berretto di lana. recito la sua parte anche davanti agli altri, perfino nel letto del mio amato. In quei momenti io recito talmente bene la sua parte che la mia passione scompare e resta soltanto la sua. In altre parole, lei mi ha rubato in anticipo tutte le carezze d’amore. Ma io non posso condannarla, perché so che anche lei a suo tempo fu derubata da sua madre. Se qualcuno adesso mi domandasse a che cosa serve tutta questa finzione, risponderei: cerco di partorire me stessa un’altra volta, ma in maniera migliore…(1)

Ecco in corsivo il rincorrersi dei commenti tra:
E.M. Elena Rovagnati, che ringrazio per l’autorizzazione a essere citata
e
C.M.: io

E.R.: ma essere come la madre non è il definitivo modo per essere in relazione con la madre (e quindi, per essere) … credo che ogni figlia abbia affrontato e risolto a proprio modo questo enigma… ripartorirsi, potrebbe essere: se solo non mi lasciasse il dubbio di una irrealistica autopoiesi…

C.M.: Ciao Elena! Ho scelto quella frase del libro perchè racconta dal mio punto di vista molto bene il travaglio che per tempi diversi interessa le donne. Perché come dici tu, Elena, fa parte del processo di ogni figlia per individuarsi. Risolvendosi o meno. Ne ho scritto in altri articoli in modo più psicodinamico e meno sognante.
Ripartorirsi in qualche modo è ciò che accade, quando il processo (che secondo me non è mai concluso, facendo parte della ricerca di sé) funziona.
L’autopoiesi pone una domanda altra. Penso a un vissuto autopoietico che si manifesta di volta in volta nella scoperta della propria irriducibile unicità. Autopoietico nell’assoggettarsi alla fatica di riscoprire le proprie tracce e dotazioni (talenti, doni e genetica) mantenendo come necessaria la presenza di quell’Altra che ci ha messo al mondo e con noi si è relazionata.
La riflessione ulteriore sul fatto che l’autopoiesi sia irrealistica (mi) porta (a pensare) alla creaturalità e alla trascendenza. Livelli dell’esistere che i singoli possono accettare o meno, percepire come esistenti e possibili oppure no.
grazie per i commenti: profondi spunti per un successivo articolo e magari, dibattito…

E.R.: ma che dibattito appassionante, da aprire subito! Sì hai colto nel segno cara Cecilia, ci sono entrambe le cose, per me: la scoperta continua della propria irriducibile unicità con la scelta, ogni volta, di aderirvi; ma anche la creaturalità, che sento come l’irriducibilità del “venire da”, con tutto quel che si apre successivamente quando ci si affaccia alla trascendenza… e mi inchino, con gratitudine.

Di qui in poi i pensieri vagabondi sono stati tanti. Il sentimento della propria  creaturalità è legato al senso del limite (essere creature create, messe al mondo) e al senso del mistero nei confronti dell’essere. Implica il credere nell’esistenza di qualcosa di superiore, numinoso. Implica fede? Non è detto: può implicare timore, timor sacro. Nel cristianesimo assume significato squisitamente filiale…
ricordate?

Vergine madre, figlia del tuo figlio

Umile ed alta più che creatura

Dante, Paradiso, XXXIII

In me il senso di creaturalità si manifesta in quello che è una sorta di accettazione dell’inconoscibilità del Sé, del suo mistero; è potermi sentire una creatura limitatata in continuo avvicinamento.  Non smetto mai di avvertire qualcosa che mi trascende.

Pensando a quel figlia di tuo figlio, ho sempre avvertito che riguardava anche  me nel riconoscermi figlia di ciò che andavo scoprendo e creando: il sentirmi creatura  di un Sè che veniva al mondo solo nel vivere cercandolo.

Sicuramente il sentire che ho la presunzione di passare  in poche righe, a una persona di fede può apparire poca cosa. E in effetti manca, per esempio,  del sentimento di sicurezza e di protezione che la paternità divina sembra offrire.

Ma è anche libero da una sorta di alibi che potrebbe farmi fermare, per pigrizia, perchè la ricerca è fatica e dolore, oltre che gioia.

Si fermano qui le riflessioni? per niente! mi fermo io, per ora, oggi. Sperando che si apra un dibattito.

Informazioni su ceciliamacagno

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7 risposte a Creaturalità

  1. Melania ha detto:

    Eccomi..che interessante e che bello scoprire questi pensieri .. che coincidenza! ,abitano la mia mente in questi giorni, non solo per il femminile ma per l’essere umano in generale, la nostra possibilità sempre di scegliere se aderire o meno ad un modello che ci portiamo dentro, chi riesce a staccarsi , chi invece ne resta intrappolato . inconsapevole ..o forse no..
    la possibilità sempre di scegliere .. questioni delicate e questioni scottanti .. potrebbe sembrare una frase fatta ma per me è il mistero della vita.

  2. elena ha detto:

    il mistero (a me stessa) in continuo avvicinamento… mi piace questo movimento! E Melania, che mi fa vedere quanto questo mistero sia collegato alla scelta, (e al limite): grazie!

  3. Melania ha detto:

    Ciao Elena , si in realtà non so perchè ( o forse lo so..)mi piace pensare alla scelta.. grazie a te e a Cecilia per questi pensieri..è bello scoprire che non si pensa da sole!!

  4. ceciliamacagno ha detto:

    Eccomi. Il mistero, la scelta e il limite. Credo che queste siano le parole chiave, trasversali al tema del divenire vivi. Scrivo “divenire” perchè ho smesso da tempo di far coincidere l’organicità dell’esistenza con l’essere vivi. Ero partita dallo scrivere “divenire umani” e anche questo meriterebbe una riflessione. Vi ringrazio entrambe e vado a pubblicare un altro post per rimandare chi ne avesse desiderio a leggere e commentare su questo.

  5. Pingback: Creaturalità: cresce il semino del dibattito | cecilia macagno

  6. Lei lo sa bene che la terra
    ruota intorno alle madri, di questo
    né è certa. Ma sa pure di
    non poter esser più chiamata
    una ragazza. Quanto alla
    prigionia, ciò di cui è convinta
    è di esser stata prigioniera sin da quando è figlia.
    — Louise Gluck, “Persefone la Viandante”

    …il difficile parto tra madre e Madre … padre e Padre… se e Sè …. oltre e dentro i confini …
    grazie !

  7. Pingback: il delicato crescere dei semi | cecilia macagno

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