Arrivano messaggi. Continuano ad arrivare. C’è chi mi invia articoli in cui l’autore scrive che è ineluttabile che ci sentiamo colpiti dal lutto per quei bei volti sorridenti: è naturale che soffriamo per la perdita di chi ci è più vicino e simile. Non dobbiamo sentirci in colpa per questo.
Di questi articoli metto il link unicamente per Le misure del dolore di Adriano Sofri, per equilibrio, perchè riesce a portare chi legge nelle infinite dimensioni della perdita, anziché creare una secca polarità; per la capacità di non tralasciare mai nessuna distorsione umana, e nemmeno l’umana gentilezza; e perché negli eventi gravi e meno gravi degli ultimi vent’anni sarei stata infinitamente più povera senza ciò che è capace di trasmettere scrivendo. Sofri non trasmette solo contenuti, trasmette presenza, scrive dall’interno di sè, un interno che diventa pensiero e scrittura senza perdere contatto con la radice.
Comunque dentro di me non posso fare a meno di continuare a pensare che ciò che è naturale (soffrire il lutto del mio più simile) cessa di essere giusto quando diventa: non soffro o soffro mooooolto meno per ciò che mi è lontano. Per chi mi è dissimile. Non lo leggo, non lo vedo. Anche perchè nel rispettare l’unicità della singola perdita, ne devo accettare l’Alterità. E se mi accorgo che mi succede devo allertarmi almeno un pochino.
Ecco, comunque nel leggere alcuni articoli, mi è diventata necessaria la distinzione tra naturale e giusto. Temo che se confondiamo naturale giusto con naturale possano accadere cose terribili. Come è già successo.
Se non stiamo attenti perdiamo di vista lezioni importanti su quanto sia piccolo il mondo (sto pensando a Hetty Hillesum per esempio), le perdiamo proprio quando abbiamo sotto gli occhi un mondo globale.
Non ho un osservatorio sui giovani italiani così vasto da sapere cosa pensino di ciò che accade (ne so solo qualcosa, ne incontro in occasioni diverse e con diversi ruoli).
Tra quelli che mi capita di frequenate non è stata unica una giovane voce indignata perchè ci si accorgeva solo ora che c’è una guerra, la guerra in atto. O meglio, perchè diveniva di colpo così pubblica, così evidente.
E un’altra giovane persona particolarmente delicata nell’osservare la relazione tra se stessa e ciò che è accaduto era colpita dall’età: la sua età la loro età. Ma non stava parlando solo delle vittime e su questo si interrogava.
Una bella direzione a cui volgere il pensiero.