Omaggio a James Hillman
“Dal punto di vista dell’anima c’è poca differenza tra paziente e terapeuta. Le radici di entrambe le parole si riferiscono ad una attenta devozione fatta di servizio e di attesa.
Attendere che cosa? Una risposta potrebbe essere: la morte. La psicoterapia come servizio della morte, il lavoro del sogno come lavoro della morte. Ma questa risposta sarebbe letteralizzare la morte e mandar perduto il suo senso metaforico (…)questo genere di morte è ancora il punto di vista letterale dell’io. Non la morte ma l’anima è lo sfondo del lavoro del sogno e se è immortale contiene molto più del morire
La prospettiva psichica non ha il suo punto focale soltanto nella morte e in ciò che attiene il morire. È piuttosto una coscienza che si regge sulle proprie gambe soltanto quando abbiamo messo a dormire le conoscenze proprie del mondo diurno. La morte è appunto il modo più profondamente radicale di esprimere questo spostamento della coscienza”
J. Hillman, Il sogno e il mondo infero, Il Saggiatore, 1988
Il lavoro sulla morte era centrale nel pensiero di Hillman, così come era centrale quello sulle immagini. Morte e immagini strettamente collegati nella valle del fare anima, la valle della creatività, della devozione al mezzo scelto qualunque esso sia per creare se stessi.
Le immagini come ciò che viene prima, prima dello sviluppo dell’individuo come dotazione archetipica, prima del pensiero, dell’idea e della parola. La morte come lavoro centrale, porta per abbandonare la pretesa dell’Io di sapere e controllare.
Condivido. Lo dico con ritegno: sono consapevole di come affermare che la morte sia lavoro centrale provochi sguardi che sfuggono, sospetti di depressione, risposte difensive che sono esattamente quelle di cui Hillman ha parlato per una vita.
Eppure se nel nostro crescere di persone non affrontiamo quel limite definitivo che è confrontarci con la morte come parte dell’esistenza, non siamo mai veramente vivi. Prima di questo passo siamo in fuga, evitanti, tormentati, depressi. Dopo, una volta accettata la nostra natura, la morte ci accompagna con leggerezza.
Davanti a me sul tavolo, mentre scrivo, tutti i suoi volumi sottolineati, vissuti. Alcuni più di altri.
Per un momento, sotto lo straordinario effetto della perdita -come un amico, non lo avrei mai potuto immaginare- ho pensato di rileggere tutto per scrivere poche righe. Ora lascio andare il pensiero agli anni in cui li ho letti: si apriva dentro di me la fame del conoscere contrapposta al sapere su e Hillman è stato nutrimento prezioso.
È fatica dire quali ho amato di più, ma credo che alcuni volumi come Saggio su Pan e La Vana fuga dagli dei siano piccoli gioielli.
Ma “Il sogno e il mondo infero” è stato uno dei primi libri a cui ho pensato mentre leggevo della morte di Hillman, perché proprio sulla Morte contiene passaggi importanti ed è prezioso per contenuto e forma, per l’esattezza con cui la parola è forma del pensiero, l’unica possibile in un certo momento. Assolutamente imperdibile.
Ciao Cecilia intanto grazie per l’occasione che offri con questo blog! Mi colpisce e mi fa nascere un sorriso quando dici che, accettata la nostra natura, la morte ci accompagna con leggerezza… perchè mi sembra tra l’altro che sia l’idea che mi arriva dal film su Pina…(vedi post sotto)
grazie ancora per questo commento su Hillmann
Elena
Ciao Elena! Sì, è quello! credo che la profondità e l’eleganza con cui porta se stessa e gli altri nasca da questo: una profonda accettazione della sua natura, come essere umano e pertanto mortale e come essere umano e pertanto speciale.
grazie per i commenti.
cecilia